Questa metodica migliora il flusso sanguigno al cuore. Un catetere con un palloncino viene introdotto nell’arteria ostruita. Il palloncino viene poi espanso in modo da dilatare il vaso sanguigno. Alla fine del trattamento, il catetere viene rimosso. Durante il trattamento dapprima viene eseguito il cateterismo cardiaco. Poi un catetere chiamato catetere guida viene introdotto nell’arteria ostruita.
Un filo guida viene quindi inserito attraverso il catetere guida e sospinto fino al punto di ostruzione dell’arteria.
Il medico osserva il percorso del filo guida su un monitor.
Un catetere con un palloncino in punta viene fatto avanzare lungo il filo guida fino a posizionarlo in corrispondenza del punto di ostruzione dell’arteria. Il palloncino viene gonfiato e sgonfiato ripetutamente in modo da comprimere la placca contro la parete dell’arteria. Quando viene gonfiato, Lei potrebbe avvertire dolore al petto.
Se ciò dovesse accadere, avverta il medico. Il palloncino viene sgonfiato: a questo punto potrebbe essere applicato uno stent.
I cateteri e il filo guida vengono rimossi.
Ora che la placca è compressa contro le pareti dell’arteria, il flusso sanguigno verso il muscolo cardiaco è maggiore.
L’angioplastica coronarica nell’infarto miocardico acuto
In questi ultimi anni si è assistito ad una costante espansione della terapia interventistica coronarica (angioplastica coronarica con impianto di endoprotesi chiamata stent), anche se in misura non perfettamente omogenea nelle varie regioni italiane.
In particolare lo sforzo organizzativo più importante si è esplicato nella terapia dell’infarto miocardico acuto, nella sua espressione caratterizzata da una presentazione con elettrocardiogramma con tratto ST sopraslivellato.
In questa varietà di infarto miocardico è presente nella stragrande maggioranza dei casi una occlusione trombotica acuta di una coronaria principale, cioè è presente un coagulo di sangue che si è formato velocemente sopra una placca ateriosclerotica coronarica.
Gli studi di questi ultimi anni hanno dimostrato la superiorità della terapia con angioplastica rispetto alla sola terapia farmacologica, costituita dalla trombolisi.
Che cosa è la trombolisi?
Si tratta della somministrazione di un farmaco che ha la funzione di sciogliere il coagulo; in realtà la sua efficacia è pari al 50-60%, al prezzo di un rischio di sanguinamenti anche molto seri.
Il vantaggio potenziale della trombolisi consiste nel fatto che può essere somministrata in tutti i presidi ospedalieri, anche nei più remoti.
La sua efficacia decresce con il passare delle ore, diventando sostanzialmente nulla dopo le 12 ore dall’inizio dei sintomi.
L’ angioplastica coronarica, al contrario, per essere realmente utile deve essere effettuata da un team di cardiologi interventisti esperti, che esegue regolarmente questa procedura da molto tempo; necessita di una organizzazione ferrea, con procedure di accesso e di esecuzione assolutamente standardizzate.
Tale organizzazione può esistere solo in Ospedali di riferimento con un adeguato bacino di utenza, stimabile attorno a circa 350.000 abitanti, e dotati di una sala e di un team di emodinamica che esegua angioplastiche primarie ed elettive in numero adeguato.
Il vantaggio dell’angioplastica coronarica rispetto alla trombolisi risiede nella sua efficacia (superiore al 90% in Centri ben addestrati), nella sua capacità di esercitare la sua azione positiva in un periodo di ore più ampio.
Deve però esser chiaro che anche con questa terapia il problema dei tempi è fondamentale: più precocemente il paziente arriva all’ Ospedale di riferimento, migliore è il risultato in termini di sopravvivenza e di recupero funzionale.
Come funziona l’angioplastica coronarica?
Essa ha senso solo nell’ambito di una organizzazione cosiddetta H24 (cioè deve essere presente un gruppo di emodinamisti e di infermieri che sono reperibili tutti i giorni dell’anno, per tutte le 24 ore), al fine di garantire la pari opportunità di trattamento a tutti i cittadini di quel territorio.
Essa ha senso se è presente una rete, cioè un network di ospedali, di pronti soccorsi e di ambulanze attrezzate che debbono convergere velocemente verso il Centro di riferimento, una volta fatta una corretta diagnositempestiva mediante elettrocardiogramma.
In alcune realtà si sta diffondendo la trasmissione via telefono dell’ECG, non fine a se stessa, ma solamente in funzione di una corretta e precoce diagnosi di infarto miocardico.
Il paziente trasportato tempestivamente nella sala di Emodinamica, viene sottoposto a coronarografia d’urgenza e, una volta visualizzata la coronaria responsabile dell’infarto, questa viene ricanalizzata con l’angioplastica coronarica e l’impianto di uno stent.
Dopo l’angioplastica coronarica, che risulta essere efficace in oltre il 90 % dei casi in Centri ben addestrati, il paziente viene ricoverato in Unità Coronarica e molto spesso la degenza è breve e non complicata.
Tra le complicanze post-procedurali che possono allungare i tempi di degenza e in qualche caso vanificare lo sforzo del team di emodinamica, citiamo quelle legate al sanguinamento dalla sede di puntura del vaso arterioso: quando questo è l’arteria femorale, le complicanze (ematomi, pseudo-aneurismi, emorragia retroperitoneale) possono raggiungere anche il 5-10% e si è visto che in tal caso la degenza si allunga, con maggiori possibilità di ritardare il recupero del paziente.
Un altro tipo di sanguinamento è quello legato all’uso dei farmaci antiaggreganti e anticoagulanti, a carico del
tubo gastro-enterico (ulcera gastro-duodenale non nota precedentemente, sanguinamento dall’intestino ecc.): in tal caso non è infrequente la necessità di trasfusioni di sangue.
Un’altra fonte temibile di sanguinamento è il cervello, a causa di una rottura di un vaso sanguigno favorita dall’eccesso di terapie utilizzate in questa patologie (anticoagulanti, antiaggreganti ecc.).
In realtà l’ emorragia cerebrale è un evento molto raro in corso di angioplastica coronarica ed anche questo può essere un elemento a favore di questa procedura soprattutto nelle categorie di pazienti più fragili (citiamo in particolare gli anziani).
In pratica, nel confronto tra trombolisi e angioplastica coronarica primaria, quest’ultima esce vincitrice poichè la temibile complicanza dell’emorragia cerebrale presenta un’incidenza pressochè nulla e, soprattutto con l’utilizzo dell’approccio radiale, le complicanze emorragiche vengono ridotte del 50%.
Inoltre ricordiamo che, in termini di efficacia, la trombolisi non supera il 50% di ricanalizzazione del vaso, mentre l’angioplastica supera il 90%.
In conclusione, la terapia interventistica dell’infarto miocardico acuto mediante angioplastica coronarica ed impianto elettivo di stent ha dimostrato di essere sicuramente efficace sia in termini di mortalità ospedaliera sia in termini di recupero funzionale.
Il suo unico limite risiede nella assoluta necessità di una organizzazione ferrea, che non può e non deve escludere da questo approccio terapeutico nessun paziente e deve pertanto essere gestita da un gruppo multidisciplinare integrato (rete sul territorio, 118, trasmissione dell’ECG via telefono, possibile accesso diretto dal territorio alla sala di emodinamica; sala di emodinamica con elevato volume di attività e adeguati livelli di performance).
Come in tutte le cose difficili, anche l’esecuzione di questa terapia richiede una elevata motivazione da parte di tutti gli operatori (medici e paramedici), consapevoli dell’importanza del lavoro che svolgono e della ricaduta che esso potrà avere sulla vita del paziente.
Testi redatti da:
- Dott. Silvio Klugmann, cardiologo, direttore dipartimento cardiocircolatorio “De Gasperis”
- Ospedale Niguarda di Milano
- Dott. Stefano Tondi, cardiologo emodinamista, responsabile Unità Emodinamica Cardiologia
- Nuovo Ospedale S.Agostino-Estense di Modena